Suicidio medicalmente assistito e aiuto al suicidio. Sentenza Corte Costituzionale n. 242 del 22 novembre 2019

A cura di Federica Tartara

La questione relativa al “suicidio medicalmente assistito” (procedura con la quale un medico fornisce alla persona che ha deciso di porre fine alla propria vita un farmaco in grado di provocarne la morte, senza pertanto intervenire direttamente) e all’aiuto al suicidio (condotta del terzo volta a determinare in altri il suicidio o a rafforzarne il proposito), in assenza di una chiara normativa, è stata oggetto di aspre critiche nel nostro ordinamento e ha riguardato diverse vicende giudiziarie.
A colmare il perdurante vuoto legislativo è intervenuta la Corte Costituzionale che, con la sentenza 242 del 22 novembre 2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. (“istigazione o aiuto al suicidio”) nei casi in cui “venga agevolata l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella trova intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
La decisione della Corte Costituzionale muove i suoi passi dalla questione di legittimità dell’art. 580 c.p. sollevata dalla Corte di Assise di Milano nel caso di Marco Cappato, politico e attivista italiano, esponente dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica e promotore del Congresso mondiale per la libertà di ricerca e della campagna Eutanasia Legale.
La questione in oggetto riguarda la vicenda del noto Dj Fabo (Fabiano Antoniani) che, a seguito di un grave incidente stradale del giugno 2014, era rimasto tetraplegico, affetto da cecità e non più autonomo nella respirazione, alimentazione ed evacuazione. Tale inabilità lo aveva indotto a manifestare coscientemente, in piena autonomia e consapevolezza, il desiderio di porre fine alla propria vita.
A questo fine, il Dj, accompagnato da Marco Cappato, si era recato in Svizzera ove, previa verifica da parte dell’equipe medica delle condizioni di salute, dell’ampia capacità di autodeterminarsi e del libero consenso, aveva posto fine alle proprie sofferenze.
Il giorno successivo, Marco Cappato si era autodenunciato per aver accompagnato Fabiano Antoniani in Svizzera per il suo ultimo viaggio. Nei suoi confronti veniva quindi formulata l’imputazione di istigazione o aiuto al suicidio ex art. 580 c.p., per aver rafforzato il proposito suicidiario e per averne agevolato l’esecuzione.
La Corte di Assise di Milano aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale del reato di aiuto al suicidio, apparentemente in contrasto con alcuni principi cardine della Costituzione, che riconoscono i diritti fondamentali del singolo. Tra questi, i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità, l’inviolabilità della libertà personale e il diritto alla salute, con particolare riferimento al secondo comma dell’art. 32 Cost. che sancisce la libera autodeterminazione del malato in merito al trattamento sanitario, che non può essere imposto.
La Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 207 del 2018, riconosceva la parziale incostituzionalità dell’art. 580 c.p., elencando una serie di ipotesi che rendono legittimo l’aiuto al suicidio: 1) se la persona malata è affetta da una patologia irreversibile; 2) se la predetta patologia è fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che il malato reputa intollerabili; 3) se il malato è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitali; 4) se, nonostante la situazione critica, il paziente è in grado di prendere decisioni libere e consapevoli.
La Consulta motivava l’ordinanza affermando che “l’assistenza di terzi nel porre fine alla propria vita può presentarsi al malato come l’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare in base all’art. 32, co. II Cost.”.
Al contempo, la Corte Costituzionale, in considerazione del vuoto legislativo, decideva di rinviare la trattazione della questione di legittimità al settembre 2019, così da consentire al Parlamento di legiferare in merito.
Tuttavia, nonostante il lasso temporale, e considerata l’impossibilità di prevedere un intervento imminente da parte del legislatore, in data 22 novembre 209, la Corte Costituzionale pronunciava la sentenza 242.
La Consulta, ripercorrendo quanto disposto nell’ordinanza n. 207/2018, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 580, c.p., nei casi in cui sia unicamente agevolata l’esecuzione del suicidio, precedentemente e autonomamente predeterminato, di una persona affetta da patologia irreversibile che comporta patimenti intollerabili laddove tenuta in vita per mezzo di trattamenti di sostegno, purché pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
Tuttavia, per evitare possibili abusi, la Corte evidenziava la necessaria verificabilità di alcune cautele, ritenendo estendibili anche alle ipotesi di aiuto al suicidio gli artt. 1 e 2 della L. 219/2017 che disciplina le situazioni di rinuncia a trattamenti sanzionatori necessari per la sopravvivenza.
La predetta legge pone al centro del rapporto sanitario la volontà del paziente.
Al primo comma disciplina il diritto di quest’ultimo ad avere un’informazione completa, comprensibile e costantemente aggiornata circa le proprie condizioni di salute, in particolar modo con riferimento ai trattamenti sanitari necessari, ai rischi e benefici che ne seguono e alle conseguenze relative ad un possibile rifiuto alle cure.
Al secondo comma, il legislatore disciplina l’acquisizione del consenso informato. Per cui, per ogni atto sanitario, il paziente deve prestare preventivamente il proprio consenso o, al contrario, rifiutare il trattamento sanitario proposto: il consenso deve essere documentato in forma scritta o attraverso video registrazioni.
Pertanto, tra le cautele richiamate rientra l’esigenza di verificare la capacità di autodeterminazione della persona malata, ovvero che sia pienamente informata della propria scelta e libera da condizionamenti esterni.
La Corte prevede, inoltre, che al paziente sia sempre proposta e garantita una seconda possibilità, costituita dalla terapia del dolore e dell’erogazione delle cure necessarie.
In ultimo, la Consulta puntualizza la necessità che la verifica delle predette condizioni sia documentale e affidata a strutture pubbliche del Servizio Sanitario Nazionale, che dovrebbero garantire un ruolo di imparzialità, terzietà, ma anche competenza qualificata (senza vincolare il singolo medico ad un obbligo di partecipazione se obiettore di coscienza).
Quanto agli effetti nel tempo della nuova pronuncia, la Corte si premunisce di assicurarne l’applicabilità solo per il futuro. Diversamente, per le situazioni antecedenti, la Corte rimette al Giudice di merito una verifica puntuale circa le intenzioni del paziente e le corrispettive manifestazioni di volontà, auspicando in un rapido intervento legislativo sul punto.