Parziale illegittimità costituzionale dell’art. 538 c.p.p.

Anche nelle sentenze di proscioglimento per particolare tenuità del fatto il giudice può decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposto dalla parte civile

L’art. 523 c.p.p. prevede che “quando pronuncia sentenza di condanna, il giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta a norma degli articoli 74 e seguenti. Se pronuncia condanna dell'imputato al risarcimento del danno, il giudice provvede altresì alla liquidazione, salvo che sia prevista la competenza di altro giudice”.
In caso di sentenza di proscioglimento ex art. 131 bis c.p., l’impossibilità del giudice di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria si presentava come un’ingiusta compressione delle pretese della parte civile, sebbene la sentenza di proscioglimento ex 131 bis c.p. presuppone sia l’accertamento della sussistenza del fatto di reato, sia la commissione del fatto da parte dell’imputato.

A colmare tale lacuna è intervenuta la Corte Costituzionale, la quale, adita dal Tribunale Militare di Roma, con la sentenza 173 del 12.07.2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 538 c.p.p., rispetto agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede, in caso di sentenza di proscioglimento ex art. 131 bis c.p., la possibilità per il giudice di decidere sulle domande di restituzione o di risarcimento del danno formulate dalla parte civile.
Nella citata sentenza la Consulta chiarisce che per addivenire ad una sentenza di proscioglimento per particolare utilità del fatto il giudice accerta il fatto tipico, l’antigiuridicità e la sua offensività, prima di ritenere inopportuna la punibilità per ragioni di politica criminale. Di conseguenza, tali pronunce di proscioglimento hanno contenuto analogo a quelle di condanna e la mancata possibilità per il giudice di pronunciarsi in ordine al risarcimento in favore della parte civile si traduce in svilimento dei diritti di quest’ultima che si trova costretta a promuovere un successivo e autonomo giudizio civile, con irragionevole allungamento dei tempi.

Con questa pronuncia, di fatto, le sentenze di proscioglimento ex art. 131 bis c.p.p. vengono equiparate alle sentenze di estinzione del reato per amnistia o prescrizione pronunciate in grado d’appello o innanzi alla corte di Cassazione, nelle quali, a seguito della recente riforma, si impone comunque una pronuncia di merito sull’impugnazione, limitatamente alle questioni civili (art. 578, co. I bis c.p.p.).

A seguito di questa interpretazione costituzionalmente orientata, le parti civili avvertiranno meno frustrazione da eventuali valutazioni di estrema “tolleranza” da parte del giudice, in quanto vedranno comunque riconosciuti i loro diritti risarcitori anche a seguito di sentenza di proscioglimento per particolare tenuità.