Sentenza Corte Costituzionale n. 41 del 6 febbraio 2018

Illegittimito l'art. 656, co. V, c.p.p., nella parte in cui non sospende l'esecuzione di pene detentive fino a quattro anni

Con la sentenza n. 41/2018 la Corte Costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 656, comma 5, c.p.p. Il punto cardine della pronuncia è rappresentato dal nesso che lega il regime sospensivo dell’ordine di esecuzione alla misura alternativa dell’affidamento in prova.

E’ sempre più chiara ed evidente la volontà del Legislatore, da un lato, di “svuotare” le carceri e, dall’altro lato, di perseguire gli scopi sanciti dall’art. 27, comma 3, Cost. in un’ottica di maggiore sensibilità e attenzione all’individuo da rieducare utilizzando maggiormente le misure alternative alla detenzione.

Con questa pronuncia la Corte ha definito l’art 656, comma 5, c.p.p., illegittimo nella parte in cui prevede che il pubblico ministero sospenda l’esecuzione della pena detentiva (anche se costituente residuo di una pena maggiore) non superiore a tre anni, anziché quattro anni.

La ratio di questa interpretazione è quella di evitare che il condannato resti in carcere per alcuni mesi, nonostante abbia titolo per scontare la pena sotto altra forma. In tal modo, l’art. 656 c.p.p. tutela la libertà del condannato permettendo a quest’ultimo di presentare al Tribunale di Sorveglianza una richiesta di affidamento in prova al servizio sociale e rimanere libero fino a quando non sopraggiunga la decisione di merito.

E’ utile, ai fini di una più chiara comprensione della pronuncia, ripercorrere il caso che ha dato origine al decisum della Corte Costituzionale. Il Giudice rimettente doveva decidere in merito a una domanda volta alla declaratoria di temporanea inefficacia di un ordine di esecuzione della pena detentiva di anni 3, mesi 11 e giorni 17 di reclusione. Il pubblico ministero aveva emesso tale ordine di esecuzione, ai sensi dell’art. 656, c.p.p., privo di decreto di sospensione in quanto la pena risultava superiore al previsto limite di anni tre. La norma in esame consente al condannato di presentare al Tribunale di Sorveglianza una richiesta di affidamento in prova al servizio sociale e rimanere libero fino alla decisione. Il fine della norma è quello di evitare l’ingresso in carcere di soggetti condannati a pena inferiori ad anni tre di reclusione (sei nel caso di soggetti tossicodipendenti con un programma terapeutico in corso) che potrebbero godere di misure alternative al carcere. L’art. 47, comma 3 bis, L. 354/1975 prevede un’ulteriore ipotesi di affidamento in prova nei confronti del “condannato che deve scontare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di detenzione, quando abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al secondo comma”.

La Corte Costituzionale ha evidenziato un disallineamento sistematico derivante dal mancato raccordo tra norme, considerato lesivo dall’art. 3 della Cost. in quanto “discrimina ingiustificatamente coloro che possono essere ammessi alla misura alternativa perché debbano espiare una pena detentiva alternativa non superiore ad anni quattro rispetto a coloro che, potendo godere dell’affidamento in prova relativo a una pena detentiva non superiore ad anni tre, ottengono la sospensione automatica dell’ordine di esecuzione”.

La Corte Costituzionale ha evidenziato un tendenziale parallelismo sistematico tra la sospensione dell’ordine di esecuzione e l’affidamento in prova. La Corte Costituzionale si è pertanto pronunciata affermando che si è derogato al principio del parallelismo senza un’adeguata ragione giustificatrice. Tale provvedimento potrà dare origine ad importanti conseguenze nell’ambito cautelare, in quanto fortemente connesso alla esecutività della pena.