Il nuovo modello di intercettazioni

Decreto del Ministero della Giustizia del 20 aprile 2018: Le intercettazioni mediante captatore informatico. A cura della dott.ssa Federica Tartara

Il 29 dicembre 2017 è stato approvato il decreto legislativo n. 216, che introduce disposizioni inerenti le intercettazioni telefoniche, tipizzando una particolare tecnica di ascolto, mediante il captatore informatico (c.d. trojan). Si tratta un software che viene installato, in modo occulto, in dispositivi elettronici portatili ed, essendo in grado di eludere ogni dispositivo antivirus, diventa il sistema principale del device, in grado di accedere alla fotocamera, al microfono, di captare le conversazioni, di leggere qualsiasi dato archiviato, comportandosi alla stregua dei sistemi di intercettazione ambientale tradizionali. Infatti, pur essendo diversa la tecnica di esecuzione, il risultato sarà il medesimo, le informazioni verranno semplicemente captate tramite questo virus, piuttosto che attraverso l’utilizzo di microspie fisse.
Il captatore informatico è disciplinato all’art. 266 c.p.p., nella sezione relativa ai mezzi di ricerca della prova e consente agli inquirenti di accedere ‘da remoto’ al dispositivo che si intende captare. Fondamentale allo scopo delle intercettazioni è che il soggetto controllato sia ignaro della presenza del captatore. È quindi indispensabile che i programmi utilizzati per installare il software siano in grado di raggirare eventuali antivirus presenti sui dispositivi controllati.

I requisiti tecnici di questi captatori informatici utilizzabili per le intercettazioni tra presenti sono stabiliti all’art. 4 del Decreto Ministro della Giustizia del 20 aprile 2018.
Primo requisito è quello di essere “funzionali all’esecuzione delle intercettazioni”, e questo implica che debba essere garantita non solo la fase delle intercettazione vera e propria, ma anche la fase primaria di installazione del programma e, successivamente, quella di mantenimento delle informazioni raccolte, senza possibili manomissioni. A questo proposito è stato previsto, al co. II ter dell’art. 89 disp. att., che le informazioni raccolte mediante captatore informatico debbano essere trasferite immediatamente ed esclusivamente alla Procura della Repubblica, senza passaggi intermedi, pericolosi per la genuinità dei dati raccolti. Ulteriore requisito è la necessità di garantire “sicurezza” delle informazioni raccolte, e questo implica la tutela della riservatezza dei dati captati, pertanto il programma deve essere in grado di prevenire indebite intrusioni durante l’acquisizione.
L’utilizzo di questi sistemi nell’ambito delle indagini preliminari pone infatti non pochi problemi in ragione degli interessi coinvolti: da un lato, la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo soggetto a captazione, dall’altro, le esigenze di verità e giustizia, unite all’efficacia ed efficienza del nuovo strumenti. I dati che vengono captati devono poi essere adeguatamente conservati.

Uno dei punti cardine della normativa relativa alle intercettazioni è la tutela della riservatezza e della privacy delle informazioni relative alle persone estranee al procedimento: a tal proposito assume un ruolo particolarmente rilevante l’archivio riservato delle intercettazioni.
Questo strumento ha lo scopo di contemperare due interessi degni di tutela, da un lato la riservatezza relativa ai dati irrilevanti per l’accertamento penale, dall’altro l’esigenza di conservare l’intero materiale per una visione completa della situazione, quantomeno fino alla formazione del giudicato, fatta salva l’ipotesi in cui il giudice abbia, precedentemente, ordinato la distruzione dei documenti perché inutilizzabili o lesivi dei diritti di riservatezza.
L’archivio riservato è disciplinato all’art. 269 c.p.p, il quale prevede che vengano conservate, integralmente, le annotazioni, i verbali, gli atti, le registrazioni delle intercettazioni presso l’ufficio del pubblico ministero che le ha richieste. Viene garantito l’accesso a queste informazioni solo al giudice e ai difensori perché possano esercitare pienamente il diritto di difesa, non è però consentito alla difesa fare copia delle registrazioni. La consultazione dei materiali deve avvenire in formato digitale, attraverso l’utilizzo di apposite postazioni riservate in un locale presso l’ufficio del pubblico ministero; pertanto l’accesso a questi documenti sarà solo virtuale e controllato, mediante l’identificazione presso il registro informatico.
A questo sistema di accesso all’archivio si accosta anche un sistema di gestione degli accessi, il quale ha il fine di memorizzare gli accessi effettuati da un determinato utente, munito di codice identificativo unico.
Gli atti conservati nell’archivio riservato delle intercettazioni sono coperti da segreto, funzionale sia per le indagini, sia per la riservatezza delle comunicazioni acquisite, non sono invece coperti da segreto i verbali e le registrazioni delle comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo del pubblico ministero.
L’art. 89 bis disp. att. c.p.p. impartisce al Procuratore della Repubblica l’ordine di tenere l’archivio e di gestirlo con modalità che assicurino la riservatezza e la segretezza, prevedendo modalità specifiche per quanto riguarda l’accesso, ad esempio, è stabilito che ogni accesso debba essere annotato con precisione (data, ora di inizio, termine dell’accesso, atti consultati).
L’istituto dell’archivio riservato sembra però destinato a rimanere solo una figura giuridica, alla luce del fatto che la sua concreta applicazione richiederebbe una considerevole destinazione di risorse umane e finanziarie ed un’organizzazione capillare.
Cosciente di queste problematiche è anche il legislatore che, con il D.L. 25 luglio 2018, n. 91, convertito con la legge n. 108 del 21 settembre 2018, ha previsto che le nuove disposizione si applicheranno alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il 31 marzo 2019.