Codice Rosso e Codice Rosso Rafforzato

Nuovi reati, pene più severe e procedure più rapide in caso di condotte violente ai danni di soggetti deboli.

Il 9 agosto 2019 è entrata in vigore la Legge n. 69, denominata “Codice Rosso”, che introduce importanti modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, con l’obiettivo di predisporre strumenti più celeri ed efficaci in favore delle donne e dei minori vittime di violenza domestica e di genere.

L’obiettivo della legge è, in primo luogo, quello di inasprire le pene e introdurre nuove fattispecie di reato volte ad arginare la commissione di condotte violente, in particolar modo contro le donne. In secondo luogo, la legge si propone di agire attivamente su un fattore temporale, elemento determinante al fine di scongiurare epiloghi irrimediabili.

Modifiche al codice penale

Le novità apportate al codice penale sono principalmente due: l’introduzione di nuove figure di reato e l’inasprimento delle pene per alcuni reati già esistenti. Per questo secondo profilo, gli aumenti di pena riguardano i reati di:

  • maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), oggi puniti con la pena della reclusione da 3 a 7 anni (prima da 2 anni a 6 anni). La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di soggetti deboli – minori, donne in gravidanza, soggetti con disabilità – oppure se commesso con armi. Ulteriore novità è stata introdotta all’ultimo comma dell’art. 572 c.p., all’interno del quale viene estesa al minore che ha assistito ai maltrattamenti la possibilità di costituirsi parte civile nel processo.
  • stalking (art. 612 bis c.p.), oggi punito con la pena della reclusione da 1 anno a 6 anni e 6 mesi (prima da 6 mesi a 5 anni);

Tra le novità introdotte dalla Legge 69/19 si evidenzia l’inserimento degli artt. 572 c.p. e 612 bis c.p. all’interno dell’elenco dei delitti che consentono l’applicazione delle misure di prevenzione (art. 4 D.Lgs. 159/2011).

Trattasi di provvedimenti di natura emergenziale, il cui scopo è quello di controllare il soggetto considerato pericoloso, limitandone la libertà di movimento. Sono misure volte unicamente a prevenire la commissione di ulteriori reati e, pertanto, prive di qualsivoglia finalità punitiva o sanzionatoria.

  • violenza sessuale (art. 609 bis c.p.), oggi punito con la pena della reclusione da 6 a 12 anni (prima da 5 a 10 anni).

La Legge 69/2019 ha introdotto un’ulteriore circostanza aggravante relativa ai casi in cui gli atti sessuali siano avvenuti con soggetti minori degli anni quattordici, in cambio di denaro o qualsiasi altra utilità, anche sotto forma di mera promessa. In questi casi la pena sarà aumentata fino ad un terzo.

Ulteriore modifica inerente il reato di cui all’art. 609 bis c.p. attiene al termine per sporgere querela, esteso da 6 a 12 mesi;

  • violenza sessuale di gruppo (art. 609 octies c.p.), oggi punito con la pena della reclusione da 8 a 14 anni (prima da 6 a 12 anni).

Le nuove ipotesi delittuose introdotte con la Legge 69/19 sono:

  • Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso della persona ripresa (art. 612 ter c.p.), punito con la reclusione da 1 a 6 anni e con la multa da 5.000,00 a 15.000,00 euro.

Si tratta del reato c.d. “revenge porn”, ovvero la diffusione di materiale a sfondo sessuale, in assenza del consenso del soggetto rappresentato. La predetta incriminazione nasce dall’esigenza di frenare l’ormai sempre più diffusa prassi, mossa da sentimento di vendetta al termine di una relazione, di condividere pubblicamente le immagini più intime del partner.

Al primo comma, l’art. 612 ter c.p. punisce con la reclusione da 1 a 6 anni e con la multa da 5.000,00 a 15.000,00 euro chiunque, dopo averli utilizzati o sottratti, diffonda, consegni, ceda, invii o pubblichi foto o video a contenuto sessuale, senza il consenso della persona ritratta.

La medesima pena si applica anche a chi abbia ricevuto o acquisito le predette immagini per conto di soggetti terzi e le diffonda, invii, consegni, senza il consenso della persona raffigurata, al fine di recare un patimento.

Le fattispecie descritte nei primi due commi hanno alcuni punti in comune, quali la condotta (inviare, consegnare, cedere, diffondere senza il consenso della vittima) e l’oggetto materiale (immagini, video a sfondo sessuale). Tuttavia, differiscono per il presupposto, poiché al primo comma il soggetto che pubblica il materiale deve esserne anche l’esecutore o colui che lo ha sottratto alla persona offesa, mentre nel secondo comma l’agente si limita ad aver ricevuto il predetto materiale. Differente è anche il fine, in considerazione del fatto che al primo comma non risulta esplicitato uno scopo, mentre al secondo comma si fa riferimento al fine di recare nocumento alla vittima.

Tale ultima considerazione desta qualche perplessità, atteso che il bene da tutelare è il medesimo, ovvero l’onore e la reputazione della vittima, unitamente alla libertà di autodeterminarsi. Infatti, trattasi di condotte estremamente lesive, in grado di gettare le vittime in una condizione di estremo malessere psicologico che, nei casi più gravi, può culminare con il suicidio.

La norma prevede due circostanze aggravanti, nei casi in cui l’autore del fatto sia un coniuge, compagno/a o, più in generale, qualsiasi persona legata in passato da relazione affettiva alla persona offesa, oppure se il fatto sia commesso mediamente strumenti informatici o telematici.

Quanto alla condizione di procedibilità, è necessaria la querela della persona offesa, proponibile entro sei mesi dal fatto e l’eventuale remissione può essere solo processuale. Tuttavia, nei casi di cui al quarto comma - fatto commesso in danno a persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o donna in stato di gravidanza - la procedibilità è d’ufficio, così come nei casi in cui il fatto sia commesso unitamente ad altro delitto per il quale si procede d’ufficio.

  • Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583 quinques c.p.).

I fatti descritti dall’art. 583 quinques c.p. non rappresentano una vera e propria novità normativa, in quanto erano già puniti come aggravante delle lesioni personali.

Ad oggi, in considerazione dell’allarme sociale, il legislatore ha introdotto una fattispecie ad hoc punita più gravemente: pena della reclusione da 8 a 14 anni, tuttavia, se lo sfregio causa la morte della persona, la pena è dell’ergastolo.

Si tratta di un’importate mutamento, atteso che non rappresentando più una mera circostanza aggravante, non è più possibile il giudizio di bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti.

Ulteriore innovazione riguarda l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio relativo alla tutela, curatela, amministrazione di sostegno.

  • Costrizione o induzione al matrimonio (art. 558 bis c.p.).

Con questa nuova fattispecie di reato il legislatore mira a tutelare la piena libertà di autodeterminazione di ogni consociato e punisce tutte le condotte volte ad estorcere un valido consenso, di una delle parti, a contrarre matrimonio.

Il nuovo reato punisce con la pena della reclusione da 1 a 5 anni due tipologie di condotte.

In primo luogo, quella di colui che, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio/unione civile.

In secondo luogo, anche la condotta di chi induce un altro soggetto a contrarre matrimonio, approfittando di una condizione di inferiorità e vulnerabilità.

Infatti, le modalità costrittive non riguardano solo le ipotesi di mera minaccia o violenza fisica, ma anche tutte quelle condotte volte a opprimere psicologicamente la vittima e ad indurla a contrarre matrimonio contrariamente alla propria volontà.

La norma prevede inoltre due circostanze aggravanti, volte a tutelare i soggetti più deboli che sono, inevitabilmente, anche quelli più colpiti.

Il terzo comma prevede un innalzamento della pena fino ad un terzo nei casi in cui la vittima sia un soggetto minore degli anni diciotto, mentre il quarto comma prevede la pena della reclusione da due a sette anni nel caso in cui la vittima sia in soggetto infraquattordicenne.

L’ultimo comma estende l’ambito di applicabilità della norma anche ai casi in cui il fatto sia commesso all’estero da un cittadino italiano o da uno straniero residente in Italia (c.d. extraterritorialità), oppure in danno a un cittadino italiano o straniero residente in Italia.

  • Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387 bis c.p.). Quest’ultima figura di delitto è una novità assoluta in quanto, sino ad ora, solo la violazione delle misure privative della libertà personale costituivano ex se un reato.

L’idea del legislatore è quella di assicurare una protezione tempestiva alla vittima, introducendo una nuova fattispecie di reato, punita con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni.

Il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa può essere disposto anche attraverso l’utilizzo del braccialetto elettronico.

Ulteriore novità della Legge 69/2019 riguarda la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena che, nei casi di condanna per i delitti di cui agli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies e 612 bis, c.p., nonché agli articoli 582 e 583 quinquies c.p. nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, c.p., è subordinata alla partecipazione del condannato a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati.

In questi termini, la nuova legge non si limita, infatti, ad introdurre nuovi reati e nuovi strumenti più efficaci in favore delle vittime di violenza domestica o di genere, ma estende la sua operatività anche al recupero degli autori di tali reati.

Per le medesime fattispecie criminose, la legge 69/2019 introduce l’obbligo di comunicazione immediata degli eventuali provvedimenti di scarcerazione o cessazione di una misura di sicurezza detentiva alla persona offesa e al suo difensore.  

Modifiche al codice di procedura penale

Tra le principali novità al codice di rito si registrano una serie di interventi volti a garantire maggiore celerità all’instaurazione del procedimento penale e, di conseguenza, all’adozione di eventuali provvedimenti cautelari a tutela delle vittime di alcuni specifici reati.

Con l’introduzione del “Codice Rosso” la Giustizia ha l’obbligo di attivarsi con maggiore tempestività. La legge 6920/19 predispone tempi più veloci per lo svolgimento delle indagini e un’accelerazione nell’avvio di procedimenti per alcune tipologie di reati.

Infatti, nelle ipotesi in cui si procede per i delitti di violenza domestica o di genere, la legge 69/2019 impone alle forze dell’ordine l’onere di comunicare immediatamente - anche oralmente - la notizia di reato al pubblico ministero il quale, a sua volta, dovrà assumere informazioni direttamente dalla persona offesa o da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dalla iscrizione della notizia di reato. Il predetto termine può essere prorogato solo nei casi in cui sussistano imprescindibili esigenze di tutela dei minori o della riservatezza delle indagini nell’interesse della persona offesa. Si tratta di un’ipotesi che si verifica soprattutto quando è necessaria l’audizione di un soggetto minorenne, la quale richiede necessariamente la partecipazione di un esperto di psicologia o psichiatria e una preliminare valutazione circa la capacità di testimoniare.  

Ulteriore innovazione, sempre volta a garantire l’immediata instaurazione del procedimento penale, riguarda gli atti di indagine delegati dal pubblico ministero alla polizia giudiziaria, i quali dovranno avvenire “senza ritardo” ed essere messi a disposizione “il prima possibile” al pubblico ministero.

In considerazione della delicatezza della materia e della possibile condizione di soggezione psicologica in cui si trova la vittima, è possibile procedere all’assunzione di sommarie informazioni tramite videoregistrazione del colloquio. Lo scopo è quello di garantire l’attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese, in assenza di eventuali oppressioni esterne e di ridurre al minimo la partecipazione diretta delle vittime, così da non fargli rivivere in più occasioni le sofferenze patite.

A queste novità, si aggiunge la necessità di una formazione specifica tra gli operatori della Polizia di Stato, dell’arma dei Carabinieri e della Polizia Penitenziaria, volta a fornire conoscenze peculiari in materia.

È evidente che le novità introdotte con la legge n. 69/2019 per essere concretamente attuate necessiterebbero di un investimento economico dello Stato nel comparto della giustizia, in particolare nella formazione degli operatori i quali dovranno essere in grado, innanzitutto, di individuare e selezionare le condotte denunciate per portarle all’attenzione della magistratura, ovvero, per intervenire d’urgenza. A questo proposito lascia piuttosto perplessi l’ultimo articolo della legge secondo il quale: “dall’attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono ai relativi adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziari disponibili a legislazione vigente”.

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Il 30 settembre 2023 è entrata in vigore la legge n. 122 che ha introdotto il c.d. “Codice Rosso Rafforzato”.

Considerato l’allarmante numero di femminicidi e dei reati di violenza domestica e di genere, nonostante gli interventi legislativi del 2013 e del 2019, con questo provvedimento si interviene sull’organizzazione interna degli uffici della Procura della Repubblica al fine di garantire il rispetto del termine - molto stringente - disposto per l’audizione della persona offesa.

Infatti, con l’intervento del 2019 il Legislatore aveva inserito all’art. 362 ter c.p.p. - per determinati reati - il dovere del pubblico ministero di assumere (personalmente o tramite polizia giudiziaria) informazioni dalla persona offesa o da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato. La finalità era evidentemente quella di evitare un aggravamento delle conseguenze dannose e pericolose del reato e consentire al magistrato procedente una immediata valutazione delle circostanze fattuali e valutare la richiesta di provvedimenti di protezione della persona offesa.

In sostanza, si introduceva una presunzione di urgenza per la trattazione di determinati procedimenti in relazione ai quali l’inutile decorso del tempo potrebbe determinare la degenerazione del comportamento illecito e quindi conseguenze irreparabili in capo alle persone offese.

Ovviamente, la legge del 2019 ammetteva alcune deroghe all’audizione della persona offesa da parte del pubblico ministero entro tre giorni dalla notizia di reato: imprescindibili esigenze di tutela dei minori o di riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa; casi in cui vi sia stato l’arresto in flagranza del responsabile con l’adozione di una misura cautelare in grado di tutelare la vittima del reato; la persona offesa sia stata trasferita in luogo protetto.

Peraltro, la raccolta delle dichiarazioni della persona offesa non esaurisce gli adempimenti investigativi del pubblico ministero, il quale deve altresì attivare tutti i mezzi ricerca della prova disponibili: intercettazioni, ispezioni, appostamenti, perquisizioni ecc.

La legge 122/2023 prevede che, nei casi di tentato omicidio o dei delitti tentati o consumati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, stalking, lesioni aggravate ex art. 576, co. I, n. 2, 51 e 5.1, e 577, co. I, n. 1 e co. II, c.p., il Procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocare l’assegnazione per la trattazione del procedimento se il magistrato non osserva il termine di tre giorni per l’audizione della persona offesa. E altresì sancito che il Procuratore Generale presso la Corte di Appello ogni tre mesi acquisisce dalle Procure del distretto i dati relativi a tali fascicoli al fine di verificare il rispetto del predetto termine.

Come già anticipato l’intervento legislativo incide sull’organizzazione interna degli Uffici di Procura, tuttavia trascura la necessità di un intervento processuale (es. ampliando la possibilità di ricorrere all’ammonimento del questore e conseguente ritiro di eventuali armi legalmente detenute dalla persona ammonita; incrementando le disponibilità di braccialetti elettronici), oltre che formativo (degli organi inquirenti) e culturale, invocato dalla stessa magistratura.